Ai datori di lavoro privati che a decorrere dalla data del 1° luglio 2021 sospendono o riducono l’attività lavorativa e presentano domanda di integrazione salariale ordinaria o straordinaria, è precluso, per la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021, l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo, restando altresì sospese le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020, nonchè la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo (art. 40, D.L. n. 73/2021) I datori di lavoro privati, che a decorrere dalla data del 1° luglio 2021 sospendono o riducono l’attività lavorativa e presentano domanda di integrazione salariale ordinaria (art. 11, D.Lgs. n. 148/2015) o straordinaria (art. 21, D.Lgs. n. 148/2015) sono esonerati dal pagamento del contributo addizionale fino al 31 dicembre 2021. Ai predetti datori di lavoro resta precluso l’avvio delle procedure di licenziamento collettivo (artt. 4, 5 e 24, L. n. 223/1991) per la durata del trattamento di integrazione salariale fruito entro il 31 dicembre 2021 e restano altresì sospese nel medesimo periodo le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto. Ai medesimi datori di lavoro resta, altresì, preclusa nel medesimo periodo, indipendentemente dal numero dei dipendenti, la facoltà di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo (art. 3, L. n. 604/1966) e restano altresì sospese le procedure in corso.
In ogni caso, le predette sospensioni e le preclusioni non si applicano nelle ipotesi di licenziamenti in caso di:
– cessazione definitiva dell’attività dell’impresa:
– cessazione definitiva dell’attività di impresa conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione non si configuri la cessione di un complesso di beni o attività che possano configurare un trasferimento d’azienda o di un ramo di essa (art. 2112, c.c.);
– accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo;
– fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa o ne sia disposta la cessazione. Nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo dell’azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso.
Ai lavoratori in questione è comunque riconosciuto il trattamento di NASpI (art. 1, D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 22).
In alternativa ai trattamenti di integrazione salariale ex D.Lgs. 148/2015, i datori di lavoro privati che sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19, i quali nel primo semestre dell’anno 2021 abbiano subito un calo del fatturato del 50% rispetto al primo semestre dell’anno 2019, possono presentare domanda di CIGS, in deroga ai limiti di durata, per un massimo di 26 settimane, nel periodo dal 26 maggio al 31 dicembre 2021. Ai fini dell’accesso all’ammortizzatore, è necessaria la stipula di accordi collettivi aziendali da parte delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o dalle loro RSA ovvero dalla RSU, che prevedano una riduzione dell’attività lavorativa dei lavoratori in forza alla data del 26 maggio 2021 (data di entrata in vigore del D.L. Sostegni-bis), al fine del mantenimento dei livelli occupazionali nella fase di ripresa delle attività post emergenza epidemiologica. La riduzione media oraria non può essere superiore all’80% dell’orario giornaliero, settimanale o mensile dei lavoratori interessati dall’accordo collettivo. Per ciascun lavoratore, la percentuale di riduzione complessiva dell’orario di lavoro non può essere superiore al 90%, nell’arco dell’intero periodo per il quale l’accordo collettivo è stipulato. Il trattamento retributivo perso va determinato inizialmente non tenendo conto degli aumenti retributivi previsti da contratti collettivi aziendali nel periodo di 6 mesi antecedente la stipula dell’accordo. Il trattamento di integrazione salariale è ridotto in corrispondenza di eventuali successivi aumenti retributivi, intervenuti in sede di contrattazione aziendale. Gli accordi devono specificare le modalità attraverso le quali l’impresa, per soddisfare temporanee esigenze di maggior lavoro, può modificare in aumento, nei limiti del normale orario di lavoro, l’orario ridotto. Il maggior lavoro prestato comporta una corrispondente riduzione del trattamento di integrazione salariale. Ai lavoratori impiegati a orario ridotto è riconosciuto un trattamento speciale di integrazione salariale, in misura pari al 70% della retribuzione globale che sarebbe loro spettata per le ore di lavoro non prestate, senza l’applicazione dei massimali di importo, e la relativa contribuzione figurativa. Per i trattamenti così concessi, non è dovuto dal datore di lavoro alcun contributo addizionale.