In caso di mancata trasmissione della certificazione da parte del sostituto d’imposta che operato le ritenute sui compensi per l’attività professionale è possibile comunque scomputare le ritenute, purché sia fornita la prova di averle subite, dimostrando attraverso la fattura e idonea documentazione di aver incassato il compenso al netto della ritenuta. A tal fine, non è considerata documentazione idonea la propria dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà. (Corte di Cassazione – Sentenza 17 giugno 2021, n. 17475). La controversia trae origine dalla cartella di pagamento emessa dall’Agenzia delle Entrate a seguito di controllo formale della dichiarazione, con la quale ha contestato al notaio l’indebita detrazione delle ritenute d’acconto per le quali i sostituti d’imposta avevano omesso di trasmettergli le certificazioni attestanti il versamento delle ritenute stesse. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici tributari rilevando che il professionista, data l’assenza delle certificazioni dei sostituti d’imposta, non ha fornito la prova delle ritenute effettivamente subite. Nella fattispecie, i giudici tributari non hanno escluso la possibilità, per il contribuente, di avvalersi di una prova equipollente al fine di dimostrare le ritenute subite, rilevando piuttosto all’esito dell’esame della documentazione prodotta, che la stessa non fosse adeguata e sufficiente a comprovare gli importi dei compensi effettivamente percepiti, al netto delle ritenute.
I giudici tributari hanno confermato la pretesa tributaria sul rilievo che il contribuente non avesse fornito la documentazione attestante, importo per importo, di avere subito le ritenute (copia delle fatture e prova del pagamento al netto della ritenuta), ritenendo a tal fine non sufficiente la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà prodotta dallo stesso notaio.
Il notaio ha impugnato la decisione contestando la violazione del divieto di doppia imposizione, per il mancato riconoscimento delle ritenute operate, ma non certificate, che comporta un duplice prelievo, prima in capo al sostituto e dopo in capo al sostituito. Inoltre, ha eccepito l’impossibilità di associare la documentazione bancaria alle singole fatture (importo per importo) data la consuetudine dello studio notarile ad effettuare i versamenti in banca degli incassi giornalieri cumulativamente.
La Corte Suprema ha affermato che l’inosservanza dell’obbligo del sostituto d’imposta di inviare tempestivamente la certificazione non toglie al contribuente sostituito il diritto di provare la reale entità della base imponibile, evitando la duplicazione di un’imposizione già scontata alla fonte. In tal caso, il sostituito può comunque contestare in giudizio il recupero della detrazione, producendo al giudice tributario la documentazione relativa alle ritenute subite, stante la generale emendabilità della dichiarazione fiscale e il contribuente non può essere assoggettato di nuovo all’imposta sol perché chi ha operato la ritenuta non voglia consegnargli l’attestato da esibire al fisco.
In tema di imposte sui redditi la norma dedicata allo scomputo delle ritenute d’acconto, subordina la detrazione dall’imposta delle ritenute alla sola condizione che esse siano state “operate”, sicché assume rilevanza il fatto oggettivo della loro applicazione, che può essere comprovato non solo con la certificazione rilasciata dal sostituto di imposta, ma anche con altri mezzi di prova equipollenti.
In questo senso si è espressa anche l’Agenzia delle Entrate che ha riconosciuto, laddove il contribuente non abbia ricevuto, nei termini di legge, dal sostituto d’imposta la certificazione delle ritenute effettivamente subite, sia comunque legittimato allo scomputo delle stesse, “a condizione che sia in grado di documentare l’effettivo assoggettamento a ritenuta tramite esibizione congiunta della fattura e della relativa documentazione, proveniente dalle banche o altri intermediari finanziari, idonea a comprovare l’importo del compenso netto effettivamente percepito, al netto della ritenuta, così come risulta dalla predetta fattura”.
Ciò comporta che la norma sul controllo formale delle dichiarazioni, usualmente intesa come fonte del recupero delle ritenute non certificate, deve essere integrata secondo i principi generali della prova. In altri termini, quando stabilisce che gli uffici “possono” escludere lo scomputo delle ritenute d’acconto non risultanti da certificazioni dei sostituti d’imposta, deve essere interpretato nel senso che gli uffici finanziari (e a fortiori i giudici tributari) “possono” apprezzare anche prove diverse dal certificato, ad esso equipollenti.
Secondo la Suprema Corte la decisione impugnata non si pone in contrasto con la pronuncia delle Sezioni Unite (sentenza 12 aprile 2019, n. 10378) che ha enunciato il principio secondo cui “nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme, per le quali ha però operato le ritenute d’acconto, il sostituito non è tenuto in solido in sede di riscossione, atteso che la responsabilità solidale è espressamente condizionata alla circostanza che non siano state effettuate le ritenute”.
Ciò significa che, sebbene sia esclusa la solidarietà passiva tra sostituto e sostituito per l’obbligazione di versamento dell’acconto d’imposta, in caso di inadempimento del sostituto, tale esclusione opera a condizione che le ritenute siano state operate, e tale circostanza sia provata con idonea documentazione, che non può essere rappresentata da una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del contribuente.