24 maggio 2021 In caso di recupero di somme indebitamente erogate ai propri dipendenti, anche collegate all’emissione di un decreto ingiuntivo poi revocato, l’azione di restituzione e riduzione in pristino si collega ad una esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale preesistente, sicchè, qualora le ritenute fiscali e previdenziali non siano state versate direttamente ai lavoratori, il datore di lavoro non può pretenderne la ripetizione da parte dei medesimi, proprio perché da questi non percepiti (Corte di Cassazione, ordinanza 17 maggio 2021, n. 13186). Una Corte di Appello territoriale aveva dichiarato inammissibile il gravame proposto da un datore di lavoro avverso la sentenza del Tribunale di prime cure, con la quale era stato revocato il decreto ingiuntivo emesso nei confronti di una lavoratrice a titolo di restituzione di somme corrisposte in esecuzione di una pronunzia poi riformata dalla Corte di merito. In parziale accoglimento della domanda della società, tuttavia, la Corte aveva condannato la lavoratrice alla restituzione di una somma inferiore, corrispondente a quella al netto delle ritenute fiscali, previdenziali ed assistenziali.
Avverso la sentenza, la società datoriale propone ricorso in Cassazione, lamentando che il datore di lavoro possa pretendere dal lavoratore la restituzione delle somme indebitamente erogate ai lordo delle ritenute di legge ove, come nel caso di specie, non abbia già effettuato la richiesta di restituzione dell’imposta non dovuta.
Per la Suprema Corte il ricorso non è fondato.
Secondo consolidati arresti giurisprudenziali di legittimità (ex plurimis, Corte di Cassazione, sentenza n. 29758/2019), infatti, qualora le ritenute fiscali non siano state versate direttamente ai lavoratori, il datore di lavoro non può pretenderne la ripetizione da parte dei dipendenti, perché appunto da questi non percepiti.
Del resto, l’art. 38 del D.P.R. n. 602/1973, prevede che iI soggetto che ha effettuato il versamento diretto può presentare all’Amministrazione finanziaria istanza di rimborso entro il termine di decadenza di 48 mesi dalla data del versamento, nel caso di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento; l’istanza, altresì, può essere presentata anche dal percipiente delle somme assoggettate a ritenuta entro il termine di decadenza di 48 mesi dalla data in cui la ritenuta è stata operata.
Ciò, in quanto l’azione di restituzione e riduzione in pristino, proposta a seguito della riforma o cassazione della sentenza contenente il titolo del pagamento, si collega ad una esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale anteriore a detta sentenza, nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti (Corte di Cassazione, sentenza n. 9756/2019).
Tanto premesso, ed altresì ribadito che il rimborso di quanto indebitamente versato può essere richiesto all’Amministrazione finanziaria sia dal sostituto di imposta che dal sostituito, la società datrice non può pretendere somme al lordo delle ritenute fiscali, poiché le stesse non sono mai entrate nella sfera patrimoniale della lavoratrice.