In tema di accertamento bancario, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito riferita ai versamenti non giustificati si applica alla generalità dei contribuenti, non solo ai titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo (Corte di Cassazione – Ordinanza 25 giugno 2021, n. 18332). La controversia trae origine dall’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate ha rettificato il reddito dichiarato ai fini IRPEF, accertando in modo sintetico (cd. redditometro) redditi di capitale non dichiarati sulla base di indagini finanziarie condotte su movimentazioni di conto corrente. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Fisco, rilevando che dagli atti del giudizio non risultasse l’esame della prova liberatoria dalla presunzione legale di redditi non dichiarati in relazione a versamenti bancari non giustificati.
I giudici tributari hanno accolto il ricorso della contribuente rilevando che la rettifica del reddito fosse fondata su un accertamento bancario, piuttosto che sull’accertamento sintetico del reddito.
La decisione è stata impugnata dall’Amministrazione finanziaria rivendicando la mancata prova liberatoria dalla presunzione legale di redditi non dichiarati in relazione a versamenti bancari non giustificati. La contribuente ha dedotto in controricorso l’inapplicabilità dell’accertamento bancario in assenza dell’obbligo di conservazione documentale, in quanto non imprenditrice o lavoratrice autonoma.
La Corte Suprema ha affermato che in tema di imposte sui redditi, la presunzione legale (relativa) della disponibilità di maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari (art. 32 del DPR n. 600 del 1972), non è riferibile ai soli titolari di reddito di impresa o da lavoro autonomo, ma si estende alla generalità dei contribuenti. Ciò in considerazione del rinvio alla disciplina degli accertamenti bancari contenuto in quella riguardante l’accertamento sintetico del reddito complessivo delle persone fisiche (art. 38 del DPR n. 600 del 1972).
Tuttavia, precisa la Suprema Corte, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo nei confronti dei soli titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti, i quali possono contrastarne l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti.
Nel caso in esame, dunque, trova applicazione la suddetta presunzione legale, limitatamente ai versamenti su conto corrente contestati, in ragione del fatto che la contribuente non è un’imprenditrice.
Ne consegue, che la contribuente ha l’onere di superare la presunzione con riferimento ai versamenti, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, e il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dalla stessa, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione.